Le poesie

V’arricurdàsi…“Per quei vecchi campi della memoria,
Vagabondare da soli
È un’intemperanza divina
Che un uomo prudente eviterebbe.”Emily Dickinson

“Nobile è solo ciò che dura”

Nicolas Gomez Dàvila

La progressiva erosione della ‘mbrajata, la scomparsa dei libbani, la morte di Zù Monacu, unitamente alla lenta sparizione di guzzi e lanze sostituiti da moderne barche da diporto in rigida e inanimata vetroresina, sono tutti eventi che hanno contribuito a decretare, sul finire degli anni Settanta, la fine della civiltà marinara di Maratea. Questo mondo che non esiste più, ha ripreso però a rivivere da molti anni, prepotente, nei miei ricordi. E’ passato tanto tempo da quando, nei primi anni Novanta, senza sapere di avere in Aldo un compagno di viaggio nei ricordi di quel mondo ormai scomparso, cominciai “a sognare anch’io insieme a loro e poi l’anima, all’improvviso, prese il volo”… Così cantava Fabrizio De André nella magistrale riscrittura della Spoon River di E. L. Masters, musica che contribuì non poco alla costruzione di questo percorso della memoria, il mio personalissimo ricordo di quanti ora “dormono, dormono sulla collina”.

Chi non ha avuto la fortuna di conoscere quel mondo in cui tutto il necessario era in natura o, in alternativa, ricavato da un mutuo soccorso proprio di una società semplice ma autosufficiente, non potrà capire fino in fondo personaggi dello spessore di Filippèddu, Jùcciu, Tagliacàpu, Uà uà, Ciccillu lentu lentu, Caramellu, Tetèlla…; personaggi che in quel contesto civile assumevano un ruolo unico, irripetibile, proprio come i personaggi delle poesie di E.L. Masters. Ciascuno di essi con la parte assegnata: la vita da recitare sul palcoscenico abbagliante di una splendida ‘mbrajata. A me è sembrato di rivederli così, con quel tanto di ricordo personale, con le molte testimonianze riportate, attraverso gli occhi e il racconto di altri; soprattutto mi è sembrato di ritrovarli ancora vivi, nei vicoli che ancora resistono al tempo e all’incuria, di rivederli attraverso le pietre e i portoni che li videro.

Li ho ritrovati ognuno al loro posto perché il portaiolo, più di altri marateoti, non ha bisogno di cercare un posto diverso dove saper stare. Poi, istintivamente, quasi a rendere più forte il sodalizio, li ho voluti ricordare in dialetto memore, forse, dell’insegnamento del grande Albino Pierro e la sua parrata frisca ‘i paìsi. E pure tanto naturale ritorno di memoria, piacevole e malinconico allo stesso tempo, non può non farmi ancora ritrovare, come lo scemo di De André, ad avere un mondo nel cuore e non riuscire ad esprimerlo con le parole.

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