‘A festa dù Portu

 

In questa sezione vogliamo ricordare, descrivedone alcuni particolari poco noti, la festa della Madonna di Porto Salvo, protettrice del porto di Maratea e, conseguentemente, di tutti i marinai del luogo. Perciò abbiamo deciso di scegliere il periodo intorno ai primi anni sessanta perché quella festa aveva un fascino particolare, sia in termini di partecipazione popolare e religiosa che per le attese che generava in noi ragazzi dell’epoca in quanto evento dell’anno. A quei tempi non vi erano molte occasioni per fare festa per cui, la seconda  settimana di Giugno, data in cui era fissata la ricorrenza per non farla coincidere con la stessa celebrata a Villammare, e dedicata alla medesima Madonna, era attesa con trepidazione da tutti.

Il Comitato.

Ogni festa paesana che si rispetti, ha un proprio Comitato  che ha il compito primario di reperire i fondi per provvedere al suo svolgimento, curarne l‘organizzazione in ordine alla scelta della banda musicale, del maestro dei fuochi d’artificio, dei cantanti che si esibiranno sul palco ecc. Negli anni in esame il Comitato era composto da cinque persone: Diego Tocci, Beniamino Zaccaro, Licasale Saverio, meglio conosciuto come Sarchiapollu, Fiorenzano Francesco detto Tridicicocci e il mitico parroco del Porto, Padre Raffaele Salerno.

I fondi per finanziare i festeggiamenti venivano reperiti principalmente in due modi: con l’incanto (‘u ‘ncantu), di cui in seguito si specificherà meglio e con una questua in giro per tutte le frazioni di Maratea, curata direttamente dal Comitato, durante la quale venivano chieste offerte in danaro o anche, in particolare ai commercianti, di merce e oggetti che sarebbero comunque tornati utili per ricavarne soldi. Il giro del Comitato iniziava, vista la dislocazione delle varie frazioni, agli inizi del mese di Aprile, compatibilmente con le rispettive attività lavorative svolte dai singoli componenti il Comitato. Le coppie di ”questuanti” erano composte da Beniamino e Tridicicocci, e l’altra da Tocci e Sarchiapòllu e si recavano in ogni frazione comunale da Castrocucco a Cersuta, fino a Massa e Brefaro ovviamente passando per Maratea Paese e per la campagna fino al passo della Colla.

I preparativi

La settimana precedente la domenica della festa, era caratterizzata da preparativi sia di carattere religioso che organizzativo. I primi iniziavano con la Novena alla Madonna che, negli ultimi tre giorni, dal giovedì al sabato, vedevano la partecipazione di un predicatore appositamente invitato dal parroco. Padre Salerno riuniva tutti i bambini e i giovani a cui, sotto la sua ferrea supervisione, veniva affidato il compito di preparare i festoni da stendere per tutto il porto.

In realtà si trattava di bandierine multicolori ricavate da fogli di carta velina incollate su un uno spago, quindi materiale molto delicato e da maneggiare pazientemente per non incorrere in quei “danni collaterali” subito stigmatizzati dal burbero parroco con il proverbiale  “miseriaccia infame!” e relativo scappellotto. Costruiti artigianalmente, i festoni  venivano stesi partendo dalla rotonda e arrivando alla cantina di Virgiliu usando come appoggi balconi e pali della luce. Un paio di giorni prima della domenica arrivava il furgone dei fuochisti della”premiata ditta di San Pietro a Maida”che si insediavano nel funnicu i zà Lisetta o in quello di zà Lucia dove iniziavano a preparare i fuochi.

Questi consistevano in giochi pirotecnici montati su pali nella spiaggia (a gatta e ‘u sorici):  altro non era che due fuochi che si rincorrevano tra loro emettendo un acuto stridio; e delle ruote che alternavano botti a scie di colori. La sera della domenica, dopo l’esibizione della banda “Città di Roccanova”, i fuochisti sparavano la cosiddetta “batteria” che sanciva la fine dei festeggiamenti in onore della Madonna.

Il sabato si provvedeva a montare, in spiaggia, il palco su cui, la sera della domenica si sarebbe esibita la banda e il cantante prescelto per allietare la manifestazione. Si trattava di un palco costituito da assi in legno montati su telaio di tubi innocenti e che, essendo molto vecchio, necessitava, ogni anno, di una rattoppata. A festa finita, smontato,  veniva custodito nella chiesa, sopra l’organo.

Il giorno della festa

Il giorno della festa, annunciata verso le sette da un “colpo scuro”, per noi bambini di allora, iniziava con la curiosità di vedere, appena alzati, quante bancarelle erano state montate nella strada antistante la chiesa con particolare attenzione a quelle dei giocattoli, pur con la consapevolezza che, nella maggior parte dei casi, avremmo dovuto limitarci solo a guardarli. Alle nove del mattino, preannunciata da alcuni colpi d’artificio, iniziava la Messa, cui partecipavano moltissimi fedeli, mentre sul ballatoio antistante l’ingresso della chiesa e davanti la casa di zù Monicu, su un tavolino, i rappresentanti del Comitato  raccoglievano le offerte promesse durante il loro giro per le frazioni o quelle dei ritardatari.

Dopo la Messa, un incaricato del Comitato, accompagnava in giro per il Porto e fino a Fiumicello, la banda musicale con l’intento di raccogliere ulteriori offerte. Nel primo pomeriggio iniziavano i preparativi per “l’incanto” delle statue della Madonna di Portosalvo, la più ambita, del Cuore di Gesù, del Palio e della Croce. In effetti si trattava di un’asta che costituiva il sistema per sovvenzionare la festa dell’anno successivo, per aggiudicare il diritto di portare in processione le statue sia per terra che per mare. Generalmente, all’asta per la processione via terra, concorrevano due gruppi costituiti dalle mogli e dalle figlie dei pescatori mentre, a quella per la processione via mare partecipavano i marinai proprietari di barche.

Il gruppo delle donne del Porto faceva riferimento a Tresina ‘i Sceru, mentre quello sottostante l’attuale Panoramica, a Vicenza ‘i Pulacca. Queste erano deputate alla raccolta delle quote (dalle 10 alle 15.000 lire a testa) delle altre aderenti ai rispettivi gruppi portando la contabilità e annotando, su un apposito quaderno, la consegna delle somme. L’incanto veniva condotto da Francesco Fiorenzano detto Ciccillu Tridicicocci che all’esortazione: “Signore e Signorine del porto, incantiamo la statua della Madonna via terra”, dava inizio all’asta che veniva aggiudicata al miglior  offerente alla battuta finale della cifra più alta: centocinquantamila … e tre!

  Prima di continuare con la descrizione della giornata festiva, vale la pena raccontare un episodio singolare  relativo all’incanto. Siamo nei primi anni sessanta e il Conte Rivetti di Valcervo, un’industriale che aveva da poco impiantato uno stabilimento tessile a Fiumicello, aveva invitato il giornalista Indro Montanelli, suo caro amico, a visitare Maratea. Era il giorno della festa, e Montanelli, scortato dal suo ospite, scendeva a piedi verso il Porto quando, giunto al bivio della panoramica, di fronte alle Ginestre, vide zù Peppu, il macellaio, che trasportava in spalla una parte della vitella che aveva macellato in  una grotta poco distante.

Giunto al Porto ebbe modo di assistere alla cerimonia dell’Incanto e la relativa messa all’asta delle Statue. Qualche giorno dopo, con grande disappunto e fastidio da parte dei Portatoli e in particolare di zù Peppu e Tridicicocci, uscì , sul Corriere della Sera, un articolo a firma  Montanelli in cui questi asseriva che gli abitanti di Maratea erano usi macellare le bestie nelle caverne, come gli uomini primitivi, e vendersi i Santi. Quando anni dopo, il giornalista fu gambizzato, in un attacco terroristico, Ciccillo, che non aveva certo dimenticato l’articolo diffamatorio ebbe a commentare: “Quaccunu ‘ngi avìta puru pinzà” (qualcuno doveva pure pensarci).

Ad Incanto avvenuto, partiva la processione verso la rotonda. Lì  gli abitanti avevano preparato un altarino, addobbato con un lenzuolo bianco e petali di fiori, su cui venivano poggiate le statue e il Parroco impartiva la benedizione. Dalla rotonda la processione tornava verso la chiesa e proseguiva verso le scale che conducono alla stazione, fino a raggiungere la Statua della Madonna di Lourdes vicino la casa di Ndoniu Alfieri. A questo punto tornava indietro, passava vicino la cantina di Virgiliu, percorreva la ‘mbraiata e scendeva in spiaggia per imbarcarsi e proseguire via mare. Le barche, tutte a remi, del Porto e di Fiumicello, procedevano in fila indiana e in senso antiorario, verso Calicastro e poi ,spingendosi un poco più a largo, verso Santojanni, senza tuttavia raggiungerla, per poi far ritorno sulla spiaggia.

Finita la processione via mare veniva celebratala Messa sul palco della banda e quindi le statue venivano riportate in chiesa e ricollocate ai rispettivi posti. Prima dell’esibizione della banda aveva luogo uno dei momenti più attesi dalla gente: la “riffa”, condotta sempre con grande maestria e arguzia da Tridicicocci. Venivano banditi, sempre allo scopo di racimolare altri soldi, i regali ottenuti dai commercianti o dai cittadini durante il giro del Comitato. Si trattava di galli,conigli, bottiglie di liquore, borse ecc. che spesso, grazie all’abilità di Ciccillo, venivano aggiudicati per un valore molto superiore al reale. La festa si concludeva, dopo l’esibizione della banda o talvolta, di un cantante, con lo spettacolo dei fuochi pirotecnici.

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One Response to ‘A festa dù Portu

  1. elvira schettino ha detto:

    …quanti ricordi !!!!
    vi ringrazio per le emozioni che mi avete fatto vivere !!!! bravi !!!

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