La Raffaello

 

 

Quando lavoravo con la Cooperativa al Porto, avevamo attrezzato una barca, la “Raffaello“ per la pesca delle alici con il sistema del “Cingiorro“. Occorreva una barca grande per portare la rete e una barchetta piccola per portare una grande luce, la lampara, che serviva per attrarre le alici e concentrarle in un solo punto per poterle poi calare con una grande rete a cerchio. Io non amavo questo tipo di pesca perché lo vedevo distruttivo e nel nostro caso poco remunerativo in quanto, non essendoci una grande distribuzione, quando le alici erano tante, i rivenditori le pagavano poco, quando erano poche il prezzo aumentava ma il guadagno era comunque scarso per l’esiguità del pescato.

Io in genere ero imbarcato sulla barca grande ed avevo il compito di calare e tirare la rete durante la pesca, recuperare il pesce, versarlo nelle vasche e infine sistemarlo nelle cassettine. La storia che voglio raccontare è quella che ho vissuto una volta che il “Vaccaro“ faceva il “lampista” mentre io facevo il suo aiuto .

Il Vaccaro è un noto marinaio del Porto ed il lampista è colui che deve stare sulla barca con la luce ad aspettare che le alici si concentrino in modo da poter segnalare al capobarca quando sono pronte per essere pescate con la rete. Era un compito di grande responsabilità e bisognava essere esperti. Non a caso il lampista era remunerato ricevendo una parte e mezzo.

I marinai venivano pagati così: tutto il capitale guadagnato, al netto delle spese, veniva diviso in parti uguali; la metà di queste andava all’armatore per la barca e i mestieri (reti ecc.), il resto veniva diviso tra i marinai in base al merito quindi c’era a chi toccava una parte, a chi una parte e mezza, a chi anche due parti. Il lampista doveva guardare continuamente sotto la luce per cercare di quantificare il branco di pesce raccolto, poi doveva cercare di capire se si trattava di alici oppure sardine, oppure vope o sauri perché non sempre era conveniente calare la rete quando il pesce non era pregiato.

Doveva inoltre sondare la corrente per poter calare la rete, sia quella di superficie che quella di profondità. Da lui quindi molto dipendeva l’esito della pescata.Volli un giorno anche io fare l’esperienza del lampista, mi imbarcai col Vaccaro sulla barchetta con la lampara e venimmo trainati dalla barca grande sulla zona di pesca.La barca grande aveva il compito di sondare con l’ecoscandaglio il mare fino a trovare i piccoli branchi di pesci sui quali lasciare la lampara accesa per far sì che il branco diventasse sempre più grande.

Il Vaccaro è un marinaio che a sue spese e sulla sua pelle ha acquisito una grande esperienza marinara diventando molto esperto in tanti tipi di pesca. E’ un poco sordo e questo, per uno che deve stare ore ed ore su una barchetta con un rumorosissimo motore generatore di corrente, non è affatto un difetto, è molto simpatico, soprattutto quando parla ad alta voce nonostante il motore sia spento ed è dotato di una grinta formidabile, sempre pronto a ritentare dopo ogni eventuale insuccesso nel campo della pesca.

La barca grande ci lascia a largo di Castrocucco, accendiamo la grande luce, ci ancoriamo e, mentre la barca grande si allontana noi ci inginocchiamo sul pagliolato della barca e ci mettiamo a guardare nel grande fascio di luce emanato dalla lampara. Stranamente il Vaccaro quella sera mi vuole insegnare un poco di mestiere e mi mostra le “grumelle”, delle piccole bollicine che saltuariamente emergevano dell’acqua sotto la luce: quelle piccole piccole sono delle alici, quelle più grandicelle sono delle sarde e quelle più grandi ancora sono dei sauri. In base alle bollicine quindi già si poteva vedere se sotto la luce c’era del pesce pregiato o meno.

Dopo mi insegna a calcolare la quantità di pesce raccolta sotto la luce in base al numero delle grumelle. Impressionante la precisione con cui calcolava la quantità di pesce espressa in quintali e la qualità di esso nel senso che, quando quello meno pregiato era superiore a quello buono, sconsigliava di calare la rete in quanto il guadagno ne risultava minimo.

Ad una certa ora il pesce fa “l’assumata” emerge cioè sotto la luce ed è il momento buono per calare la rete. Il Vaccaro filò una cima con un nodo alla punta a mare e sondò la corrente di superficie, poi, lasciando affondare un po’ di più la stessa cima sondò la corrente di fondo, comunicò il tutto al capopesca e gli disse che poteva calare.

Si rivolse a me chiedendomi se avessi visto il pesce che avevamo sotto la luce ed io, dal momento che non ero riuscito a vedere assolutamente nulla, gli risposi di aver visto qualche alicetta. “Avemu sutta na decina di cantàri d’alici” [abbiamo sotto la luce una decina di quintali di alici]. Facciamo il volo di cingiorro, così si dice della rete filata in acqua e peschiamo esattamente una decina di quintali di alici e più o meno un quintale di sarde.

Tutte le vasche di bordo erano piene ed il ghiaccio non bastò a refrigerare tutto il pesce che avevamo pescato. Con grande lavoro sistemiamo tutte le alici nelle cassettine e sul far del giorno ci avviamo verso il porto. Le alici erano tante e belle grandi, le cassettine le avevamo fatte piene ed erano pronte per essere vendute. Giunti al Porto, sulla banchina ci aspettavano cinque o sei furgoni di rigattieri così chiamiamo i rivenditori di pesce, i quali appena videro la barca carica di pesce cominciarono a lamentarsi dicendo che il ghiaccio non era sufficente, che non sarebbero riusciti a vendere il pesce nei mercati perché si deteriorava, che sicuramente anche le altre barche ne avevano pescato tanto e che quindi la vendita non era garantita, che non potevano pagarlo al prezzo pattuito perché ci avrebbero rimesso etc. etc. . Qualche furgone addirittura mise in moto il motore facendo finta di andarsene.

La gioia che avevo dentro per la bella pescata ad un tratto scomparve lasciando il posto ad una grande delusione. Avevano il coraggio di maltrattare quel pesce che ancora si muoveva nelle cassette e dissero che volevano pagarlo a 500 lire la cassettina di 5 kg. Il prezzo corrente delle alici era di 1000 lire al chilo. Qualcuno si convinse a comprarne una decina di cassettine a 800 lire ciascuna e ne volle una gratis per mangiarsela lui più due cassettine di sarde, sempre gratis perché diceva che non li voleva nessuno. Alla fine della trattativa più di mezzo pescato rimase invenduto e quello che avevamo venduto l’avevamo quasi regalato. Io e il Vaccaro ci guardammo in faccia e senza parlarci ci trasmettevamo la grande delusione.

Ad un certo punto mi chiama Matteo, il capopesca e mi chiese se ero disponibile ad andare con lui a Massa e Brefaro – due frazioni di Maratea- con un furgone a tentare di vendere quanto più pesce possibile. Stanco e distrutto dalla pescata, frastornato dal rumore del motore della barca comunque acconsento e, caricando una trentina di cassettine di alici sul furgone ci dirigiamo verso Massa. Quel giorno decisamente non era un buon giorno per noi, appena arrivati cominciammo a gridare “ALICI – ALICI “ ed un po’ di gente cominciava a venire e comprare a buon prezzo e buon peso. La gente aumentava e parecchie cassettine cominciarono a svuotarsi. Eravamo nel bel mezzo della vendita quando arrivò la macchina della Guardia di Finanza.

Erano finanzieri di Maratea che ci conoscevano ma in quell’occasione, in perfetto italiano così si rivolsero a noi: “Per cortesia la licenza di vendita al minuto e la licenza per pescare il pesce“ – o qualcosa di simile. Matteo gli disse che sapevano benissimo che noi non avevamo niente di quanto richiestoci e che si trattava di un evento casuale generato da una pescata eccezionale. Il Comandante ci ricordò che eravamo autorizzati a vendere il pesce solo sulla barca e che quindi eravamo in multa sia per la vendita ambulante sia perché non avevamo la licenza per pesare al minuto il pesce.

Ci guardammo in faccia con Matteo e per un attimo restammo sgomenti poi cerchiamo ancora una volta di convincere il Comandante a lasciarci in pace, in quanto non ritenevamo affatto giusto essere puniti perché cercavamo di vendere nella maniera più conveniente quel pesce che avevamo così faticosamente pescato e che nel giro di qualche altra ora dovevamo buttare perché non più commestibile.

Il Comandante fu irremovibile ed ordinò al suo subalterno di notificarci seduta stante il doppio verbale. Fu a quel punto che Matteo non ce la fece più a restare calmo e chiese al Comandante se avesse visto le condizioni dei nostri occhi, gonfi e rossi e che in Italia oramai guadagnare onestamente del denaro diventava sempre più difficile. Mentre parlava cominciò a prendere le cassettine dal furgone e a buttarle nella scarpata della strada.

Io cercai, senza molta convinzione, di fermare Matteo perché, da un lato volevo anche io aiutarlo a buttare il pesce nella scarpata, dall’altro ero consapevole di peggiorare la situazione. Il Comandante infatti disse subito al suo subalterno di aggiungere un terzo verbale: “ discarica di merce inquinante in luogo non autorizzato “ o qualcosa del genere.Dopo questo episodio mi ritornò in mente il fatto che avevo conseguito qualche anno prima il diploma di insegnante di scuole elementari e che potevo fare la domanda di “incarichi e supplenze nel circondario di Trecchina – Maratea“.

Il mare ha di queste defaillance.

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