I Truzzarelli

Fino alla metà degli anni ’70 pescava al largo del Porto una paranza molto vecchia, il Pesce Sega, forse un mezzo da sbarco americano dell’ultima guerra mondiale riadattato a peschereccio.Ruggine dappertutto, una puzza di pesce nauseabonda e i pescatori imbarcati erano uomini abbruttiti dal mare e che parlavano un napoletano indecifrabile. Non avevano il bagno a bordo e facevano i loro servigi direttamente fuori murata senza badare nemmeno al fatto che potessero essere visti: dovunque si trovavano, anche nel porto quindi, sbottonavano e facevano

L’equipaggio era costituito da una sola famiglia. Il padre era il capopesca e i tre o quattro figli facevano da marinai.Erano conosciuti al Porto come i “ truzzarèlli “ e passavano gran parte della loro vita a pescare e litigare continuamente tra loro e, spesso con un’altra paranza, per giunta appartenente a loro parenti consanguinei.A primavera inoltrata, con il camion frigorifero che ogni tre giorni veniva a caricare il pescato da vendere al mercato di Torre del Greco e Napoli, venivano anche le loro rispettive famiglie e ciò incrementava le già elevate occasioni per litigare.

Le paranze erano spesso ormeggiate affiancate nel porto in un luogo loro destinato, e i rispettivi equipaggi, a mo’ dei pirati che abbordano la preda, ingaggiavano aspre battaglie a suon di lancio di cassette di legno vuote. Bestemmie e parolacce a non finire facevano da sonoro a quella che sembrava la vera resa dei conti. Per non essere da meno, sul molo, anche le rispettive famiglie litigavano tra loro e non era insolito assistere a scene di svenimenti e strascinamenti per i capelli.

Queste storie si ripetevano da anni e più di una volta mi trovai anch’io presente ad assistere al solito litigio: a furia di sentirli avevo imparato a decifrare un po’ del loro linguaggio e un marinaio della paranza concorrente mi avvicinò, ancora furibondo per la lite appena sopita, e mi disse che i “truzzarèlli” erano infami e raccontò questa storia.

Un giorno di tanti anni fa, durante il primo dei tre giorni di pesca che facevano prima di rientrare in porto, il padre dei “truzzarèlli” fu colpito da infarto e morì a bordo. I figli, per non perdere gli altri due giorni di pesca, misero a sedere il cadavere nella ghiacciaia insieme ai pesci pescati e continuarono a pescare per gli altri due giorni come se niente fosse accaduto. Poi rientrarono direttamente a Torre del Greco, scongelarono un poco il morto, avvisarono le famiglie e lo misero in macchina col basco sugli occhi e un sigaro acceso in bocca; appena arrivati a casa fecero la sceneggiata della morte improvvisa con pianti, grida di disperazione e svenimenti per il dolore.

Mentre raccontava sparando parole a raffica, il marinaio storceva la bocca per testimoniare il disprezzo che nutriva per i “truzzarèlli”, e ciò fece sì che quanto ho raccontato non è altro che una sintesi di ciò che capì. Chiaramente ho tralasciato le bestemmie e le parolacce, profuse a decine, sebbene alcune di esse, oltre il pittoresco linguaggio, lasciavano ben capire l’odio che quel marinaio covava.Io non so se questa storia è vera o sia stata raccontata proprio per far del male ma, ripensando ai protagonisti, come mi è capitato di fare, non mi meraviglierei più di tanto se lo fosse.

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