Proverbi marinari

In questa sezione vi proponiamo alcuni proverbi marinari. Molti di essi non sono di grande utilizzo al di fuori della cerchia portaiola e la perizia e la pazienza di registrarli che ebbe Aldo ci induce, per non perderne memoria, a riorganizzarli, spiegarli e renderli di nuovo pronti alla parlata corrente. Nei detti sta gran parte della cultura e civiltà popolare. Un tesoro di inestimabile valore che non possiamo permettere deperisca sotto i colpi della attuale foia esterofila, italiana che sia o, peggio ancora, nel disprezzo dell’ indifferenza. A mare, come in tutti i posti dove la vita è in continuo forse, vige l’imperativo dell’uso parsimonioso delle risorse così, anche quelle che sembrano frasi fatte, modi di dire vecchi, roba da antichi, non sono altro che la forma minima e omnicomprensiva di una cultura sopraggiunta a noi ancora implorante salvezza. Per rafforzare questo nostro intendimento abbiamo voluto creare un parallelismo, che pure di fatto è esistito in concreto negli anni passati, con la marineria per eccellenza del nostro Sud: quella di Sorrento. D’altra parte i nostri marinai hanno sempre preferito, quando le condizioni economiche lo permettevano, recarsi personalmente, nella città della costiera, e ordinare al maestro d’ascia, uno dei fratelli Aprea, il gozzo o, quantomeno, ‘na lanza. Perciò non vi sembri strano leggere, nei commenti, il riferimento quasi puntuale a questo o quel detto sorrentino. Avremmo potuto scegliere qualsiasi marineria del mondo: non avremmo sbagliato. Ma Sorrento, che è legata a filo doppio col nostro porto, un pó, è anche casa nostra.

Chistu è scogliu ca no ffà nì lippu e nì pateddi
(Questo è scoglio che non fa né muschio né patelle)
Col proverbio si intende una persona o una situazione completamente improduttiva, quindi inutile…

Siràta ‘i marzu e maitinàta d’aprili.

(Serata di marzo e mattinata d’aprile)

Un tempo, quando le alici si pescavano prevalentemente con la rete detta menaide, i pescatori di solito facevano, nel mese di marzo e di aprile, diverse cale. A marzo si usciva di sera e si calava fino a mezzanotte; ad aprile si calava da mezzanotte all’alba. Con questo proverbio si indica il tempo della pesca alle alici con la menaide.

Quannu nivica navica, ma dopu nivicàtu fatti truvà tiràtu.

(Quando nevica naviga, ma dopo nevicato fatti trovare con la barca in secco)

Per quanto una nevicata sia un fenomeno piuttosto raro al Porto, con il proverbio si voleva indicare che durante la precipitazione nevosa il tempo è, in qualche maniera, stabilizzato. Pertanto chi è intento a navigare non deve fare altro che continuare a farlo per giungere a destinazione. Questo perché generalmente al termine della nevicata il tempo ha un brusco peggioramento con forti venti da mare o da terra. A Sorrento esiste un proverbio simile per assonanza ma con senso più generico: “quanno tu naveche naveca e quanno hè navecato fatte truvà saruato”.

Arretu ‘u scogliu ‘u mari è coma l’ogliu.

(Dietro lo scoglio il mare è come l’olio)

Il riferimento è fin troppo esplicito: chi va per mare deve sempre tener da conto un buon riparo. Anche uno scoglio può offrire, sottovento, un ottimo riparo.

‘U ventu ‘i tramuntàna ti scippi lli pisci ‘a ‘int’ ‘u panaru.

(Il vento di tramontana strappa i pesci dal cesto)

La tramontana, in questo caso, coincide con il maestrale, forte vento da nord-est che si caratterizza per la sua tagliente freddezza. In questo proverbio la sua forza è così palese da riuscire a “togliere” i pesci dal cesto.

Quannu ‘u mari fa funtana o è scirocco o è tramontana.

(Quando il mare fa fontana o è scirocco o è tramontana)

Il fenomeno che il detto descrive si verifica quando il moto del mare è caratterizzato da onde piccole che determinano la cosiddetta “maretta”. Sul bagnasciuga questo moto ondoso crea delle piccole pozze da cui fuoriesce come uno zampillio di fontana. Ciò predice un vento di scirocco o tramontana.

Cu’ mari e cu’ venti no’ tti fa’ valenti.

(Con mare e con venti non farti spavaldo)

Definirei questo proverbio come il proverbio del rispetto. Nella sua semplicità e chiarezza è la grande lezione più volte sentita dai nostri marinai e sempre sottovalutata dai giovani o, peggio, biasimata quale dimostrazione di paura. Ogni spavaldo, incosciente o terrazziere che non ne abbia tenuto conto porta il saldo di questa sua imperizia sulla propria pelle. Ci piace ricordare qui, uno dei tanti proverbi sorrentini ce può bene fare il verso a questo e anche rafforzarne il senso: “nu’ nce sta marenaro c’ a mmare nu’ po’ affocare”

U mari no’ tteni taverna.

(Il mare non ha taverna)

E’ questo un notissimo proverbio che mette ben in guardia lo sprovveduto dall’avventurarsi in mare senza averne le dovute conoscenze e la necessaria perizia. L’equivalente sorrentino, per rafforzare questa avvertenza utilizza la figura popolare di Pulcinella. Infatti si dice: “Pe’ mmare nu’ nce stanno taverne, dicette Pulecenella”. Tirando in ballo la maschera napoletana si invitano paurosi e maldestri, quelli che Cilardùzzu avrebbe bollato come “terrazzieri”, a stare alla larga da un ambiente non adeguato alla loro natura.

Trupìa ‘nterra vunàzza a mari.

(Temporale a terra bonaccia a mare)

La trupìa è il classico temporale estivo. Per quanto forti e intensi siano questi fenomeni a terra, a mare risulta una bonaccia tipica dell’alta pressione.

Cu va pì stu mari sti pisci pigliti.

(Chi va per questo mare questi pesci piglia)

Il senso di questo proverbio è moraleggiante e più che riferirsi, come un altro proverbio poi menzionato, alla pescosità del nostro mare vuole intendere che alla lunga non può che raccogliersi ciò che si è seminato.

No’ nge luna nova senza scirocco, tre jurni prima o tre jurni doppu.

(Non c’è luna nuova senza scirocco, tre giorni prima e tre giorni dopo)

Ad ogni nuova lunazione, per tre giorni che la precedono o per i tre che la seguono, cioè fino a che la luna si dice al quinto quarto, di solito al mattino soffia vento da scirocco. Se il tempo è buono, durante la giornata il vento, seguendo il sole, girerà dapprima da libeccio e poi da ponente. Viceversa, permanendo il vento da direzione sud-ovest, è il segno del cattivo tempo imminente. A Sorrento si usa arricchire il detto con un riferimento galante al gentil sesso. Infatti si recita: “nun c’è quinto senza scerocco e né femmina senza nocche: tre juorne primmo o tre juorne aroppo”. A dire che la puntualità dello scirocco alla nuova luna è garantito come lo sono gli ornamenti di cui le donne fanno uso per il loro vestiario.

Maistu ‘i sira scirocco ‘a matina.

(Maestrale di sera scirocco la mattina)

Soprattutto d’inverno il maestrale che soffia forte di sera è indizio di tempo che volge al peggio. Infatti l’esperienza maturata in secoli di osservazione di fenomeni atmosferici fa ritenere che al mattino successivo il vento avrà mutato direzione ponendosi da scirocco e, rinforzando, porterà con sé il cattivo tempo. E’ curioso notare che a Sorrento, località particolarmente esposta a nord-ovest, il maestrale sia anche detto

“’a vocc’ r’ ‘o ‘nfierno”.

Quannu ‘a chiaga taci o scirocco o tramuntana.

(Quando la piaga tace o scirocco o tramontana)

Questo detto capovolge le certezze che volevano ossa e ferite dolenti in prossimità di cambio di tempo. In questo caso se la piaga non infastidisce non v’è certezza di bel tempo tanto che se non è scirocco sarà tramontana.

Quannu lampi d’ ‘a montagna piglia ‘a zappa e vva guadagna.

(Quando lampeggia dalla montagna prendi la zappa e vai a guadagnare)

Lampi e tuoni che si palesano e annunciano dalla montagna sono chiaro segno che il cattivo tempo non è che una semplice scaramuccia: durerà poco. Pertanto chi volesse provvedere al proprio sostentamento e a quello della famiglia deve recarsi al lavoro usato. A conferma di quanto detto, a Sorrento si utilizza un proverbio più ricco di dettagli: “Quanno scura ‘a muntagna, piglia ‘a zappa e va’ guadagna; quanno scura ‘a marina, piglia ‘o pignato e va’ ‘ncucina”.

Quannu lampi d’ Amantia piglia ‘a zappa e vva fatija.

(Quando lampeggia da Amantea piglia la zappa e vai a lavorare)

Il senso di questo proverbio è identico a quello sopra descritto. Il cattivo tempo è già passato e si può riprendere il lavoro.

Quannu lampi da lu capu piglia ‘a zappa e vva curcàtu.

(Quando lampeggia dal capo piglia la zappa e vai a coricarti)

Viceversa, rispetto al precedente detto, quando si vedono lampi a nord, oltre il capo Palinuro, è del tutto inutile affannarsi in lavori e fatiche. La pioggia e la tempesta stanno per arrivare, meglio riposare.

L’ariu s’è fattu monacu, ‘u mari truzzulìa nelle Calabrie, il lupo è in campagna.

(L’aria s’è fatta cupa, il mare batte le Calabrie, il lupo è sceso in campagna)

In questo detto è concentrato tutto il peggio della meteorologia: l’aria si fa cupa e nera e assume l’aspetto di un monaco ricoperto dal suo saio; il mare spinto dal forte vento si ingrossa e infrange i suoi flutti verso sud, in Calabria; finanche il lupo, affamato, è spinto dalla neve a procacciarsi cibo a valle.

Quannu Malipirtùsu cacci friscu è bontempu.

(Quando da Malipirtùso soffia vento fresco è buon tempo)

Uscendo dal porto e navigando verso levante, dopo aver superato l’isola di Santo Janni, si può notare sopra l’abitato di Marina una sorta di canalone. E’ il suddetto Malipirtùsu, ossia il “cattivo pertugio”. Il vento che proviene da questo canalone, se a folate fresche e tese, è indizio di buona stagione.

A varca ca t’arriviti ti passi puru.

(La barca che ti raggiunge ti supera anche)

Pare evidente: la differenza di velocità che consente alla barca che insegue di raggiungere quella che la precede non può che permettergli di superarla.

Mari Tirrenu, mari senza pisci.

(Mar Tirreno, mare senza pesci)

Più che un detto è amara e consolidata considerazione. O l’alibi, come avrebbe detto Cilardùzzu, dei terrazzieri?

Si dissiru li missi a palermita, no’ nzì cantinu cchiù missi cantàti.

(Si dissero messe a palermita, non si cantano più messe cantate)

L’origine del proverbio è arcana così come risulta di incerta provenienza il termine palermita. Il senso però è chiarito dal contesto in cui si utilizza. E’ l’equivalente del più noto e celebre proverbio latino: “il dado è tratto”. Nulla si può fare per migliorare la situazione.

L’acqua ca no risiedi no’ ffà llippu.

(L’acqua che non ristagna non fa muschio)

Il lippo non è altro che il greco lίpos, ossia il muschio che ricopre le rocce umide in prossimità della linea di marea. E’ chiaro che dove non vi è ristagno d’acqua non vi può essere muschio. Il traslato del detto potrebbe essere spiegato con un altro detto che diffida dal recarsi a pesca dove il fiume è sordo, ossia calmo, poiché il pericolo è in agguato. Alla stessa maniera chi ha carattere espansivo non può destare brutte sorprese: è ciò che appare, non nasconde insidie ricoperte di lippo.

Quannu ài paneddi trenta ‘aia stringi ‘a venta ca quannu nn’ài una ‘aia fa’ unu vuccùni.

(Quando hai trenta panelle devi stringere la cintura perché quando ne hai una devi farne un sol boccone)

Imparare a non sprecare risorse quando si sta relativamente bene è un postulato irrinunciabile per chi è chiamato dalla vita, nei momenti di ristrettezza, a saper fare un sol boccone di ciò di cui dispone per sopravvivere.

Tre ssu ‘i putenti: ‘u Papa, ‘u Rre e cu no’ tteni nnenti.

(Tre sono i potenti: il Papa, il Re e chi non ha niente)

E’ questo un detto che ricorda la famosa Livella di Totò, una livella però tutta terrena in cui solo la condizione di chi non ha nulla, e perciò niente da perdere, può gareggiare in potenza con i veri ricchi e potenti della terra.

Luna curcàta – marinàru aizàtu. Luna aizàta – marinàru curcàtu

(Luna coricata – marinaio alzato. Luna alzata – marinaio coricato)

Questo proverbio mette in relazione diretta le fasi lunari e le caratteristiche sembianze che assume la luna durante il loro svolgersi. Parimenti all’attività della luna corrispondono, in relazione alle stagioni e alla meteorologia, le attività umane. Così, quando la luna è in prossimità del solstizio estivo o invernale essa appare perpendicolare, ossia alzata, rispetto all’orizzonte; il tempo e le condizioni del mare consentono al marinaio di starsene tranquillo, dunque coricato. Viceversa, quando la luna sembra parallela all’orizzonte e siamo in prossimità del solstizio autunnale o primaverile, la variabilità di tempo e mare non consentono tranquillità al marinaio che deve stare ben sveglio e pronto ad intervenire. A Sorrento esiste, come a Genova, la versione “luna allérta, marenaro cuccato”.

Ariu chiaru nonn’ à paura ‘i troni.

(Aria chiara non teme tuoni)

Al di là del significato letterale che appare evidente e che ovviamente trova reale dimostrazione nella pratica quotidiana della marineria e non solo, è il senso morale che fa brillare questo detto. Non è, difatti, la persona retta e giusta che non può nulla temere dal suo impeccabile modo d’agire nei confronti degli altri? Per questi, come per l’aria tersa d’estate, non ci possono essere tuoni e rimbrotti all’orizzonte.

No votes yet.
Please wait...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *