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Lance e gozzi sorrentini

Lance e gozzi sorrentini

Abbiamo più volte sottolineato, nelle varie sezioni del sito, quanto sia forte e sentito il legame fra la marineria portaiola e la tradizione navale di Sorrento, cioè con i costruttori di gozzi e lance della costiera. Abbiamo anche cercato di rappresentare visivamente le parti della barca partendo dai nomi delle singole parti dello scafo. In questo articolo si vuole approfondire, riprendendola per sommi capi, la storia dei cantieri di Sorrento e qualche particolare di tecnica costruttiva con qualche foto a corredo tratta dal libro di E. De Pasquale “Lance e gozzi sorrentini”.
A metà del XVIII secolo (intorno al 1650) nelle marine di Meta e Piano di Sorrento, rispettivamente Alimuri e Cassano, si costruivano tartane e feluche e, successivamente brigantini a palo (primi anni dell’800). Le famiglie dedite alla costruzione di questi natanti erano principalmente legate a due maestri d’ascia: Gaspare Mauro e Giuseppe Castellano.
A Marina Grande di Sorrento i cantieri erano dei maestri Fiorentino e Aprea (Cataldo e Antonio), specializzati, quest’ultimi, nella costruzione di barche da pesca. A questa discendenza di maestri d’ascia facevano riferimento i pescatori del Porto per ordinare il loro nuovo gozzo o lancia.
Fino a quando, con l’avvento del motore a vapore, si resero necessarie costruzioni navali adeguate e il mercanteggiare si tramutò in commerciare, le barche in legno costituivano il solo mezzo di collegamento della Penisola Sorrentina con Napoli e il resto del Regno delle Due Sicilie. La strada che attualmente collega Napoli alla Penisola Sorrentina fu costruita solo nel 1834. Per rendere idea di quale fosse il movimento di natanti prima di questa data, basta ricordare che fino al 1915 partivano dalla penisola almeno 30 feluche al giorno per Napoli.
A Sorrento si costruivano già sotto i Borbone brigantini a palo e golette armati ed equipaggiati per traversate oceaniche che però ebbero maggiore utilizzo verso fine Ottocento (vedi foto Marina di Cassano).
La costruzione di questi velieri avveniva su arenili dati in concessione e si impiegavano molte maestranze, non solo nel cantiere navale vero e proprio, ma soprattutto nel grande indotto che essi generavano: filatura delle cime, cucitura delle vele, fabbricazione di bozzelli e ghie (sistema di carrucole e cime per sollevare alberi, vele e pesi in genere), fanali, botti e barili…
Parallelamente a questa cantieristica che possiamo definire “pesante” si costruivano moltissimi natanti destinati alla pesca sotto costa: i gozzi e le varchette (foto modelli gozzo e lancia).
Il gozzo a menaide e la varchetta erano entrambi con prua e poppa di forma aguzza; il primo, alto di bordo a prua per fronteggiare il mare in navigazione, ma entrambi più bassi a poppa per facilitare il “mestiere”. Nella pesca alle alici, detta con rete a menaide, a poppa si montava la lampara e la forma aguzza della stessa facilitava la voga in quella direzione. Il gozzo a menaide aveva lunghezza da 27 a 32 palmi (un palmo= 26,37 cm), generalmente a quattro remi. Per la pesca alle costardelle si impiegavano gozzi più piccoli (23-27 palmi) che trainavano, ciascuno, un capo della rete per offrire maggior superficie al cammino veloce delle piccole aguglie. Con il gozzo a menaide si pescava anche con la sciabica (vedi sezione dedicata). La varchetta, di soli 14 palmi (circa 3 metri e 70 centimetri) era usata sia come lampara che come barca da reti da posta e pesca con le nasse, cioè pesca sotto costa (foto varchetta).
Per esercitare il mestiere spesso, i pescatori, (qui voglio ricordare che al Porto si distinguevano i pescatori dai marinai col fatto che i primi erano proprietari di barche mentre i secondi prestavano solo manodopera) menavano una vita di sacrificio (compravano il gozzo dopo anni di emigrazione in Venezuela, Brasile e Argentina) e sovente il contratto col cantiere era a debito da scontare con la pesca, il cosiddetto “con parte a bordo”, dove una parte del guadagno frutto della pesca veniva destinato all’estinzione del debito contratto.
Ogni gozzo veniva ordinato al cantiere secondo le necessità dell’armatore, in genere in funzione dei “pezzi” di rete da imbarcare (si diceva gozzo più “tirato” o “menato” a poppa o prua a seconda della larghezza delle costole del fasciame per avere più galleggiamento dove si caricavano le reti) e per meglio fronteggiare le condizione medie del mare locale ( si diceva più “zanconato” o “masconato” in sostanza l’apertura della prua). Altra caratteristica di scelta era la quantità e qualità dei marinai, spesso coincidenti col nucleo familiare, sicché, ai figli più piccoli si affidava il remo (palella) più leggero del lato di dritta. L’attenzione alle esigenze dell’armatore sono state e sono di primaria importanza nella costruzione del gozzo tanto che, ancora oggi, i motopescherecci che richiedono l’argano di salpata da un lato devono essere costruiti in modo tale da bilanciarne il peso.
Il materiale di costruzione dei gozzi sorrentini è legno di grande qualità, anticamente scelto nei boschi direttamente dal mastro d’ascia. In genere si usava il legno di Pigna femmina del Vesuvio per il fasciame esterno e quercia, olmo e gelso per chiglia e ossatura. I legni più duri si tagliavano al principio d’inverno (attività arborea minima) mentre quelli più resinosi a fine inverno e con luna calante per non farli marcire. La pigna si taglia in tavoloni posti a stagionare al riparo dal sole e stipati in modo da far passare aria fra essi. I tronchi di quercia e olmo, una volta tagliati, venivano interrati presso le rive di fiumi o in zone particolarmente umide, restandovi almeno un anno; questo serviva a uniformare le tensioni interne al legno e a stabilizzarne la consistenza evitando le spaccature anche a costruzione naviglio eseguita. I maestri d’ascia dicevano che questo trattamento, con il quale si eliminavano essenze di color nero, faceva perdere la superbia al legno e lo faceva diventare più maneggevole da lavorare. La parte centrale dei tronchi, il cosiddetto “core ‘e miezo”, essendo la parte più dura e rigida veniva destinata alle strutture primarie. Le parti più esterne, “d’ ‘o canto ‘e fora”, alle parti secondarie o alla costruzione dei remi (palelle) che devono essere resistenti e in parte elastici. I frisi e la sopracinta si facevano in frassino o noce e non venivano pitturati.
I gozzi sorrentini erano mossi da vele latine (triangolari) atte a risalire i venti di levante e ponente, soliti nella navigazione verso (mattino) e da (sera) Napoli. I gozzi napoletani era mossi da vela tarchia (quadrangolare).
La tecnica di costruzione è stata tramandata oralmente da padre in figlio e si fonda più su principi pratici che su un vero e proprio progetto: l’arte si apprendeva prima della scolarizzazione. Per costruire un gozzo si usa, per tracciarne le forme, il “mezzo garbo” (foto). Si tratta di un modello che riproduce metà dell’ordinata centrale sulla quale base si costruiranno tutte le altre ordinate sia verso prua che verso poppa. Le prime sei ordinate verso poppa, unitamente alle prime sei ordinate verso prua, costituiscono il cosiddetto “terzo medio centrale” della barca. Allo stesso modo si costruisce il “terzo medio di prua” e quello di poppa, il primo convergente verso il dritto di prua e il secondo verso il dritto di poppa (foto scafo). Su queste ordinate così composte e fissate alla chiglia, si inchioda la cinta, ossia la prima tavola di fasciame, più spessa delle altre, sagomata da poppa a prua atta a abbracciare e fermare tutta la struttura. Successivamente si passava a inchiodare tutte le altre tavole del fasciame e a seguire la fase di calafataggio a rendere stagno lo scafo.
Ogni costruzione inizia sempre fissando il crocifisso sulla prua.
Con lo sviluppo della nautica da diporto anche i cantieri sorrentini adeguano la produzione navale e introducono le lanzetelle(foto) alle quali è possibile abbinare motori fuori bordo avendo poppa a forma tronca. Si tratta di piccole imbarcazioni di dimensioni simili alle varchette che costituivano i tender di unità navali maggiori. A Marina Grande di Sorrento si costruivano specchi di poppa a cuore che aveva la caratteristica di essere posizionato in alto rispetto alla linea di costruzione per fare in modo che il fasciame si chiudesse sul dritto di poppa invece che sullo specchio (foto lanzetelle).

Le parti della barca

 

In questa sezione illustriamo le varie parti della barca in legno,usata dalla marineria del Porto, in dialetto portaiolo e le azioni relative al governo della stessa. Solitamente i pescatori del porto solevano ordinare le proprie imbarcazioni “Vuzzu” (gozzo) o “lanza” (lancia) o a Sorrento o a Castellabate in provincia di Salerno.

Tutte le nuove imbarcazioni venivano riportate in un Registro del Compartimento Marittimo di Pizzo di cui faceva parte la Delegazione di spiaggia di Maratea. Nel Registro la cui dicitura era “Registro delle barche, battelli ed altri galleggianti non muniti di atto di nazionalità” (vedi foto) erano indicate: il numero d’ordine, la data d’iscrizione nel Registro, il tipo di barca, il tipo di licenza, luogo e anno di costruzione, il Conduttore, il Proprietario e il nome dell’imbarcazione.

Cliccando sul nome della parte compare la foto relativa (se disponibile).

 

  1. Carrinòzzu (dal lat. Carina) = Chiglia (dal fr. Quille), trave longitudinale da poppa a prora, generalmente di olmo, faggio, rovere, quercia.
  2. Taulàma o Fasciàma = Fasciame (dal lat. Fascis=fascio)
  3. Cinta = fascia più alta della murata di una barca che si innesta con il ponte di coperta. (dal lat. Cinctus=cingere)
  4. Scàrmu = Scalmo (dal lat. Scalmus, dal gr. Skalmòs derivato dalla radice skàllo = scavo)
  5. Fàrchi = Falca. Negli scafi in legno, tavola ricurva che corre lungo la parte superiore della murata rialzandola, in modo da impedire che l’acqua entri di sottovento. [Dal gr. Phálkés= costa di nave].
  6. Prùda = Prora. L’estremità anteriore della nave o di un’imbarcazione. [Dal genovese prua, forma fonetica regionale del lat. prora]
  7. Pùppa = Poppa. L’estremità posteriore d’una barca, d’una nave. [Dal lat. puppim].
  8. Rota ‘i prùda e ‘i pùppa = Ruota di prora e di poppa. L’elemento strutturale che costituisce la continuazione della chiglia nella prora e nella poppa dello scafo: navigare in fil di ruota.
  9. Allèmu = Alleggio, zaffo(tappo) o allievo (da allevare – levare acqua): Foro praticato nella parte centrale della carena delle piccole imbarcazioni, per far defluire l’acqua che possa esservi rimasta quando la barca viene tirata in secco. [Dal fr. allège, der.  di alleger ‘alleggiare’].
  10. Cuntrallèmu = Alleggio di prora.
  11. Pirtùsu ‘i l’albiru = Mastra. Foro per allocare l’albero.
  12. Albiru = Albero
  13. ‘Ntinna p’ ‘a vila = Antenna da vela. Nell’attrezzatura velica, asta orizzontale di sostegno della vela latina.
  14. Buccatùra = Parte interna della prora [Lat. bucca ‘guancia’ e poi ‘bocca’].
  15. Staminàle = Ordinata. Nella costruzione navale, sezione trasversale della carena, con l’ossatura (o costa) dello scafo corrispondente. [dal gr. Stamìn, ìnos, trave, montante]
  16. Cuntranèrvu = Contronervo. Fascia su cui poggia il pagliolo.
  17. Pagliòlu = Pagliolo. [Der. di paglia]. Il fondo interno di un’imbarcazione, costituito da tavole amovibili. La piattaforma di tavole di legno su cui venivano collocati i pezzi di artiglieria dei velieri.
  18. Tàvula a matèra e Vàngu = Baglio. Trave di sostegno del ponte della nave e di collegamento delle murate. [Lat. baiülus ‘portatore, facchino’]nel gozzo “banco” . La tavula a matera potrebbe essere anche intesa come paratia di mezzeria fra poppa e prua.[Lat. Materium, da matera ossia materia (in questo caso legno).
  19. Mussatèlli = Biscia. Serie di buchi sulle ordinate a filo interno di carena per convogliare l’acqua di sentina verso prora o poppa. Forse da muso, piccolo muso.
  20. Zangùni = Ordinate a  “V” sia a proravia che a poppavia. [Lat. mediev. zanca, affine al longob. zanka ‘tenaglia’].
  21. Sintìna = Sentina. La parte più bassa del fondo di un galleggiante, in cui si raccolgono le acque e ogni altro liquido.[lat. Sentinam]
  22. Scutillàru o scutiddàru = Scodellaio. Probabilmente dal lat. scutella. Ripostiglio di prora.
  23. Capuròta = Capo ruota. Parte finale della carena a prora.
  24. Monachetta = Monachetto. Piccola bitta. Nell’attrezzatura navale, ciascuna delle bitte a cui si avvolgono i cavi delle rizze per fissare le catene e le ancore. [Dim. di monaco]. Dal lat. tardo monachus, gr. mónakhos, der. di monázó ‘vivere solitario’, a sua volta der. di mónos ‘solo’.
  25. Femminèdda = Femminella. Anello di poppa in cui incernierare il timone.
  26. Uglia = Agugliotto. Perno che entra nella femminella del timone e ne permette la rotazione. [Der. di aguglia dal lat. Volg. Acucula dim. Di acus=ago. Grosso ago per ricucire le vele.].
  27. Timùni = Timone. [Lat. tardo timo –onis, der. di temo –onis] Traversa.
  28. Iàcciu = Giaccio o agghiaccio. Barra del motore. Dal gr. Oiax,-kos “manovella del timone”.
  29. Muràti = Murate. Ciascuno dei due fianchi della nave, al di sopra della linea di galleggiamento. [Femm. sost. di murato; nel sign. 1, in quanto alla fine del sec. XV, per difendersi dai colpi delle bombarde nemiche, i fianchi dei grossi navigli venivano protetti all’interno da un riparo fatto di mattoni e calcina sino al parapetto].
  30. Sivu = Sego o sevo. Grasso per ungere le falanghe o otturare l’alleggio.[lat. Sebum]
  31. Sassula = Sassola, sessola o gottazza. Capace cucchiaia di legno per raccogliere a mano e gettare fuori bordo l’acqua contenuta nella sentina. [Der. di gotto Capace bicchiere per lo più fornito di manico: recipiente di raccolta dell’acqua di sentina. [Lat. guttus, forse dal gr. krthón, sorta di recipiente di raccolta dell’acqua di sentina.]
  32. Rimi e palilli = Remi e paletti (pala). In genere con il primo termine si indicano i remi lunghi, con i quali si vogava in coppia in postazioni contrapposte (chi stava a destra vogava il remo di sinistra e viceversa). Il secondo termine (palilli) indicava i remi corti usati dal singolo vogatore.[lat.remus]
  33. Cuddàri = Ginocchio. Da collare.Perché rivestito da cuoio a forma di collare su cui si lega lo stroppo.
  34. Stròppulu = Stroppo. Nell’attrezzatura navale, pezzo di cavo ad anello, utilizzato per legare oggetti ai quali debba esser consentito un certo movimento: per es., il cavetto che collega il remo allo scalmo. [Lat. Stroppus ‘corda’, che è dal gr. stróphos].
  35. Falanga = Tavola spalmata di cera o di grasso usata come scivolo per barche di legno. [Dal lat. phalanga ‘rullo’, che è dal gr. phálanks –angos ‘tronco d’albero’].
  36. Pàscima = Dritto di prora. Ultimo pezzo di legno della ruota di prora (anche di quella di poppa nei gozzi e lance non a poppa quadra). Forse genov. Pascima o da pascire(piccoli pezzi di legno atti a colmare gli spazi esistenti fra gli elementi di una barca in legno).
  37. Sgazza = Scassa. Alloggio per l’albero fra le ordinate sul fondo della sentina. Da s-cassa, ricavare una cassa per contenere. Dal lat. Capsam der. Capere, contenere.
  38. Vanghìttu = Mensole di sostegno del baglio. Da banchetto.
  39. Riturnèlli = Fascia decorativa intorno alla cinta. Ritornello, motivo.
  40. Nòtula = Pezzo di legno inchiodato sulla falca sul cui dorso si ricava il foro atto a contenere lo scalmo. Forse dal gr. Notos “dorso”.
  41. Puttagnòla = Tavola interna (serretta) di rinforzo fra ordinate e fasciame esterno. Nella lingua corsa esiste il termine piettagnula, ossia “nascosta”.
  42. Matèra = Ordinata che costituisce l’ossatura della barca nella sua parte verso chiglia. e’ unita con le ordinate dette “staminali” che giungono fino a termine della murata.dal lat. Materium ossia materia “legname”.it.MADIERE.
  43. Frisu = Forse dal lat. “phrygium” da cui fregio=decorazione.
  44. Supraffrìsu = Soprafregio. Tavola che copre il frisu.
  45. Puntìllu = Puntello. Pezzo di legno usato come puntello per sostenere la barca in posizione verticale sulla chiglia una volta tirata a secco.
  46. Manganèddu = Asse cilindrico (manganello) rotante in legno atto a farvi scorrere le reti ed alleviare la fatica nel salparle a bordo e a non rovinare la murata dalla barca.dal gr. manganon.
  47. Rocciuli = Carrucola.sostegni in legno o ferro atti a sostenere il manganeddu. A forma di “p” venivano fissate in appositi buchi sulla falca. Nel buco centrale si inseriva il maschio dell’asse del manganeddu in modo che questo potesse girare. Prob. Il nome dalla forma a riccio del legno. Dal lat. Tròchlea, gr. Trohilion, trohos. Macchina con girelle.
  48. Camenti = Comento. interstizio fra le tavole del fasciame riempito con la stoppa. Dal lat. Conventum “combaciamento” deriv. Di convenire “unirsi”. Anche ligure “comentu”.
  49. Calafatà = Calafatare. Riempire i camenti con la stoppa. Dal gr. Kalaphates o lat. Calefacere “riscaldare”.
  50. Caviglia = Cavicchio di legno durissimo, a forma di chiodo, per unire certe strutture degli scafi di legno. [Dal provenz. cavilla, e questo dal lat. clavicüla ‘piccola chiave’]. Buco praticato nella giuntura fra la ruota di prora e di poppa in cui si inseriva un pezzo di legno detto “caviglia” atto a rinforzare la struttura di vecchie barche e ad evitare infiltrazioni d’acqua.
  51. Miniu = Minio. Ossido salino di piombo, di color rosso, usato per la fabbricazione di vetri a piombo e per la preparazione di smalti e vernici antiruggine • lett. Belletto, rossetto. [Dal lat. minium ‘minio, cinabro’, di origine iberica].
  52. Pittura ‘a ogliu = Pittura all’olio di lino.
  53. Pittura ‘a virnìci = Pittura con olii di sintesi.
  54. Guzzu = Gozzo. Barca con taglio ottuso di prua e poppa. Dal gr. Vyo o vyso.
  55. Pedagna= Paramezzale. Tavole longitudinali poggiate sui madieri atte a sostenere il pagliolo e rinforzare il fondo dello scafo. Dal lat. Pedàneam femminile di pedàneus “che riguarda il piede”.
  56. Curritùri = Ombrinale (dal gr. Ombrinòs “pluviale”). Corridoio per lo scolo di acqua piovana.
  57. Truncùni= Girone. Impugnatura del remo.
  58. Abbunà= Abbeverare. Riempire d’acqua una barca tirata in secco in modo che il legno, dilatandosi, favorisca il restringimento del fasciame aumentandone l’impermeabilità.

Azioni per il governo della barca

Quante volte  facendo, indegnamente ,da “marinaio” a Zio Beniamino,a Cilarduzzu o nu Vaccaru mi sono sentito

impartire ,prima con voce calma poi, se sbagliavo ad eseguire, con tono perentorio i comandi “sia” , “manteni”

“arrei”.Quando con Cilarduzzo si andava a posare i filaccioni a “tana” si doveva,ascoltando gli ordini  del

capobarca, portare la lanza in posizione sulla tana della cernia in modo da calare  l’esca in  prossimità

dell’ingresso della tana stessa. I cernii su vacabbùnni!!. Altri tempi!!!!!

Da’ funnu a rrota = Ancorare alla fonda.

Da’ funnu ‘nu corpu mortu = Ormeggio al corpo morto.

Falanga faccia a puppa = Inclinare la falanga di un angolo tale da essere tangente alla ruota di poppa al fine di agevolare lo scorrimento della carena.

Mandeni = Tenere la barca in posizione. Mantenere.

Sia = Rema! è l’ordine di vogare impartito dal capobarca (sìa vòca!!) al vogatore.

Sia a puppa/pruda = Ordine di vogare facendo avanzare la barca verso poppa o prua.

Sia chissu e arrei chiddu = Ordine che significa far girare la barca su sé stessa vogando con un remo verso prua/poppa e l’altro in direzione opposta.

Tras’ ind’ ‘u ventu = Mettere la prua al vento.

Tira’ ‘nderra =Alare la barca sulla spiaggia.

Teni ‘u latu = Tenere, in fase di alaggio, la barca diritta facendo leva con la gamba.

Nziva’= Ungere, dare sego a falanghe e carena.

Jìtta’ ‘u ferru = Gettare l’ancora.

‘U ferru = Ancora.

Jìtta’ ‘u ferru pi’ marra = Gettare l’ancora legando ad una marra la cima affinché si possa disincagliare.

Mitti ‘i cimi a puppa = Legare le cime a poppa per l’ormeggio.

Tira a palorciu =Ormeggio in caso di mareggiate con la cima a terra tenuta a mano.

Voca = Rema

Voca chicàtu = Si dice di posizione di voga non corretta dal punto di vista stilistico ma anche della efficacia della remata.

Vutìggiu = Andatura controvento. Bolina.

Vutta’ = Mettere a mare l’imbarcazione.