La Ricciola (battaglia in apnea)

Alla metà  degli anni novanta a Maratea furono installate, a largo di Marina, delle “gabbie” per l’allevamento di spigole e orate. Erano costituite da un’intelaiatura di tubi in cui era contenuta aria compressa per consentirne l’affondamento in caso di mare agitato, e da un enorme rete a forma di sacco dove veniva allevato il pesce.

Il sito scelto aveva una profondità di circa 45 metri per cui, quando venivano affondate, la parte superiore delle gabbie veniva a trovarsi a circa venticinque metri dalla superficie. L’itticoltura delle spigole era stata affidata a Pasquale Schettino, coadiuvato da due esperti sub: il figlio Biagino detto “’u gammiru” e da un suo amico Biagio Limongi detto “cipuddina”. I due avevano il compito di assistere Pasquale nelle operazioni che richiedevano la loro presenza in mare. Fra queste: la verifica del corretto affondamento delle gabbie, della loro integrità e, in ultimo, il benestare a “pescare il pesce” per portarlo ai mercati.

Durante queste operazioni i due Sub avevano notato, ad una profondità di venti  metri, un grande branco di ricciole, di pezzatura variabile dai 15 ai 35 chili, che si aggiravano attorno all’allevamento attirate sia dalle prede contenute nello stesso che da quelle che, di tanto in tanto, fuoriuscivano durante le operazioni di “raccolta” o da falle nella rete. Ovviamente tale scoperta aveva suscitato in loro la volontà di effettuare qualche battuta di pesca subacquea in apnea attorno ai 25-30 metri di profondità con la tecnica dell’ ”aspetto”.

Questa tecnica, per cui è necessario resistere sott’acqua abbondantemente oltre il minuto, consiste nell’immergersi ad una certa profondità, nel nostro caso sui 25 metri corrispondente alla parte superiore delle gabbie, ed attendere il passaggio del branco per poter colpire. Il momento della giornata più propizio è l’imbrunire. L’attrezzatura del sub, oltre a prevedere le consuete componenti quali muta, pinne di profondità, maschera, boccaglio, piombi e pugnale, consta di un  fucile a molla dotato di un arpione in acciaio posto alla fine di un’asta, dello stesso materiale, di oltre un metro.

L’asta è legata al fucile mediante una sagola, di lunghezza variabile dai 40 ai100 metri, ad alta tenacità alloggiata in un mulinello in modo che, una volta colpita la preda, si abbia la possibilità di poterla contrastare, una volta tornati in superficie, fiaccandone le forze in modo da riuscire a recuperarla facilmente. La stessa sagola può, tuttavia, rappresentare un gravissimo pericolo per un sub, in quanto, durante la “battaglia” si può impigliare in qualche ostacolo e impedire i corretti movimenti del nuoto subacqueo del pescatore. La tecnica e la notevole resistenza in apnea, avevano già consentito ai due amici di effettuare varie catture, alcune di pezzatura rilevante (25 -30 chili), nelle varie battute di pesca effettuate nello stesso luogo. Il pomeriggio del  5 luglio 1998, dopo aver svolto il solito lavoro insieme a Pasquale, i due decidono di tornare sul posto per una battuta di pesca prima del tramonto.

Con il gommone du “gammiru” si recano sul posto e, indossata l’attrezzatura, fanno varie immersioni scendendo in coppia, l’uno di seguito all’altro, fino a portarsi sui25 metri e attendere il passaggio del branco a ridosso dell’intelaiatura superiore della gabbia. Il fatto di immergersi in sequenza è reso obbligatorio sia dalla taglia delle prede che dalla loro forza e combattività perchè, in questi casi, un solo colpo potrebbe non essere sufficiente a consentire la cattura dell’animale. Solitamente la ricciola, essendo di indole curiosa, anziché allontanarsi velocemente alla vista di un sub, come qualsiasi altro pesce, ha la tendenza ad avvicinarsi all’intruso per vedere di cosa si tratti e per fargli capire, aprendo e chiudendo la bocca, che il “blu” è il suo territorio.

In quel pomeriggio, che ormai volgeva al crepuscolo, le tante immersioni non avevano portato ad alcuna cattura tanto che i due amici, quasi rassegnati, decidono di rientrare in porto. La razionalità della decisione, come spesso succede in presenza di un istinto da predatore, viene tuttavia prevaricata dalla tentazione di effettuare una ultima discesa. Scese per primo “Cipollina” seguito a ruota dal “gambero”.

I due si portarono sulla sommità della gabbia quando notano, nel blu intenso del mare, una sagoma argentea che si muoveva attorno ai 30 metri di profondità. Si trattava di un’esemplare solitario, enorme, mai visto fino ad allora nei tanti avvistamenti del branco. Il pesce si avvicinò ai due – per avere una buona possibilità di colpire efficacemente la distanza dalla preda non deve essere superiore ai 4 –5 metri – aprendo e chiudendo l’enorme bocca per segnare il territorio. Visto il “cliente” il “gambero” sperava che “Cipollina” non avrebbe sparato intuendo la pericolosità di una battaglia difficilissima pur essendo loro in superiorità numerica.

Ma, mentre lui sperava Biagio Limongi esplodeva il suo colpo proprio mentre il pesce stava per voltare la testa e tornare indietro. A questo punto, ‘nu gammiru, non restava altro da fare che sparare a sua volta per cui, sopravanzato il compagno esplodeva il suo colpo che affondava l’arpione nel dorso della ricciola. I due emersero badando a non impigliarsi nelle rispettive sagole, e cominciano la battaglia con il pesce. Con forza inaudita la ricciola tentava di liberarsi con poderosi strattoni che i due sub cercavano di contrastare come potevano fino a che, dopo 40 minuti e varie centinaia di metri più al largo dal punto in cui avevano colpito, la resistenza del pesce sembrò finire.

A questo punto, benché duramente provati dall’estenuante lotta, restava da compiere un ultimo sforzo per portare la ricciola in superficie. Lasciando la sua sagola nelle mani di “Cipollina” il “gambero” si immerge per essere sicuro che gli arpioni siano ancora sufficientemente saldi per consentire un sicuro recupero del pesce senza correre il rischio di perderlo dopo tanti sforzi. Arrivato sulla preda a circa 20 metridi profondità, aveva notato con grande apprensione, che la ricciola non era ancora morta e che l’unico arpione che teneva, a malapena, era quello sul dorso.

Pur di non perdere un’esemplare simile, ‘u gammiru decise di compiere un’operazione temeraria. Infilò un braccio nelle branchie del pesce facendolo uscire dalla bocca e, rivolta la testa dello stesso verso la superficie,  cominciò a nuotare verso l’alto in modo che eventuali colpi di coda lo avrebbero solo potuto agevolare nella risalita. Chissi su pacci!!!! (questi sono pazzi). Non credo siano molti i sub che possano vantare una tale preda: 62 kilogrammi e rotti per un metro e ottanta. (vedi foto). Ccà no cuntàmu chiacchiri (qua non raccontiamo frottole!!!).

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One Response to La Ricciola (battaglia in apnea)

  1. Claudio Tringali ha detto:

    Ho avuto il privilegio di sentire questa storia raccontata dal protagonista …”il gambero”… indimeticabile!!!!!!!!!!!
    Un gande abbraccio al “gambero” e a Aldo “il cantastorie”
    Claudio Tringali

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