u Cingiorru

 

 

Sin da piccolo ho avuto una grande attrazione per il mare, avendo vissuto al porto di Maratea fino alle elementari non avrebbe potuto essere diversamente, e per la pesca. Pur non essendo un profondo conoscitore delle varie tecniche/mestieri di pesca, mi ha sempre incuriosito molto praticarle nel periodo coincidente con le vacanze estive. Dopo i primi anni delle elementari alla scuola della stazione (foto), per motivi lavorativi di mio padre,ci trasferimmo a Napoli senza però mancare una volta di trascorrere le festività scolastiche e l’estate, nella casa materna del porto.

Posso dire di aver praticato molti mestieri con mio zio Beniamino che di professione faceva il pescatore. Con lui ho pescato con le reti, sia di fondo che di posta, i filaccioni, le coffe e la traina costiera. Il mio interesse, tuttavia, era per lo più rivolto a quei mestieri più impegnativi, perché non praticabili da un singolo pescatore (lambara, cingiorro e coffe d’altura per la cattura di grossi tonni e pescespada), ed era tanto forte quanto lo era la difficoltà a praticarli. Ben difficilmente,difatti, si riusciva ad entrare in una “chiurma” già completa e formata da marinai di professione che,otre ad essere esperti dello specifico mestiere, avevano, a bordo, un compito specifico da svolgere per cui il giovane neofita, se pur animato dalle migliori intenzioni,  era considerato più un fastidio che un reale aiuto.

 

Io, però, sono stato sempre un tipo determinato per cui non mi sono mai fatto fermare dalle difficoltà e, con i buoni auspici di qualche amico, alla fine sono sempre riuscito nel mio intento. Sono riuscito ad andare alla lambara con i mitici Giuvannuzzi, alle coffe a pescespada con l’Iskra di Matteo e, ancora oggi non ci credo, con il cingiorro di Ermindo (un armatore di Castellabate che aveva il peschereccio al Porto) per la pesca delle alici. L’equipaggio del peschereccio era costituito, in prevalenza, da marinai di Castellabate, agli ordini del capopesca Ermindo, dal carattere scorbutico e autoritario ma dalla valentia eccezionale. Con lui erano imbarcati anche Blasitto, Gabriele(detto ù cèfulu) e, con l’incarico di lampista, Cilarduzzu.

 

L’unico modo per riuscire a partecipare ad una nottata di pesca, era quella di assillare Cilarduzzo perché intercedesse presso Ermindo in modo che questi acconsentisse.Finalmente un giorno fui “convocato”.Quella sera mi fu assegnato il compito di stare sulla lanza insieme a Gabriele per reggere il cavo su cui scorrono gli anelli che reggono la rete. Non esattamente un compito da poco per una prima volta, ma questo lo avrei capito benissimo in corso d’opera. La pesca con il cingiorro è del tutto simile a quella con la lambara : c’è una lanza con la luce attorno a cui il peschereccio, cala il cingiorro una volta che il capopesca ritiene sia vantaggiosa l’operazione. La differenza con la lambara sta nel fatto che l’ordine di calare non viene impartito dal lampista ma dal capopesca che si avvale delle indicazioni dell’ecoscandaglio.

 

Una volta presa la decisione il peschereccio lascia sulla lanza di appoggio un capo del cavo andando,a manetta, a circuire il banco di alici e la luce,sotto cui stazionano. Stando sulla lanza si vede la prua del peschereccio che, ultimata la circuizione ti viene addosso per recuperare il cavo per unirlo a quello rimasto a bordo in modo da procedere,collegati i due capi al verricello,  a chiudere la rete formando un “sacco” da cui le alici non possono più uscire.Non oso nemmeno pensare cosa sarebbe potuto succedere se, per qualsiasi motivo, non fossimo riusciti a porgere il cavo alla barca.Ultimata la cala, le alici pescate vengono messe in enormi contenitori di alluminio pieni di ghiaccio per meglio conservarle fino al momento di essere inviate ai mercati.Ovviamente una sola cala, quasi mai risulta sufficiente per ottenere il guadagno sperato dalla battuta di pesca, per cui dal punto in cui si è effettuata la prima ci si sposta, anche di diverse miglia, verso quello successivo.

 

Mentre ciò avviene, i marinai , profittando del tempo a disposizione, mangiano quello che hanno portato per cena. Anch’io non mi lasciai sfuggire l’occasione.Mentre ero intento ad addentare un panino, vedo Cilarduzzu che, in piedi vicino ad uno dei contenitori delle alici appena pescate, ne prelevava alcune e,dopo averle “scapate” le mangiava insieme ad un pezzo di pane. Visto che lo guardavo stupito mi disse “ ah terrazziere no capiscisi nu cazzu veni prova”. Così mi avvicinai, spinto dalla curiosità di scoprire un nuovo gusto, e mangiai un’alice (che quasi ancora si muoveva) dando contemporaneamente un morso al mio panino. Dovetti convenire che poi non era una cattiva idea.

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